Il brand activism ha dominato il panorama del marketing negli ultimi anni. Dalle campagne inclusive di grandi marchi come Nike e Airbnb fino ai messaggi di protesta contro le ingiustizie sociali, sembrava che i brand, anche quelli più piccoli, avessero trovato il modo perfetto per coniugare i loro obiettivi commerciali con il sostegno di cause sociali. Oggi però questo legame sembra aver perso parte della sua forza.

 

La relazione tra attivismo e marketing, che una volta generava grande coinvolgimento, sta ora mostrando segni di cedimento. La crisi del brand activism non è un fenomeno improvviso, ma piuttosto il risultato di una complessa interazione tra fattori culturali, economici e sociali che hanno portato all’activism fatigue.

 

Ma quali sono le cause di questa crisi e perché il brand activism non funziona più come una volta?

 

L’ascesa del brand activism: una duplice opportunità

Durante la presidenza di Donald Trump (2017-2021), molti brand hanno scelto di prendere posizione su questioni sociali controverse. Il contesto politico polarizzato ha spinto le aziende a rispecchiare le opinioni dei loro consumatori, creando un valore aggiunto oltre il semplice prodotto. Un sondaggio condotto da AdWeek del 2017 ha infatti rivelato che quasi il 75% dei consumatori desiderava che i marchi prendessero una posizione chiara su temi politici e sociali.

 

Numerosi sono stati i casi di successo. Nike, ad esempio, ha lanciato nel 2018 una campagna con Colin Kaepernick, ex quarterback della NFL noto per le sue proteste contro la brutalità della polizia. Il famoso slogan “Believe in something. Even if it means sacrificing everything” ha attirato sia elogi che critiche, ma ha posto Nike al centro del dibattito pubblico. Airbnb, con il messaggio di inclusività “We Accept” trasmesso durante il Super Bowl 2017, e Patagonia, che ha apertamente criticato i politici negazionisti del cambiamento climatico con il provocatorio slogan “Vote the Assholes Out”, sono altri esempi di brand che hanno saputo abbracciare l’attivismo per connettersi emotivamente ai consumatori.

 

Questi brand non si sono quindi limitati a vendere prodotti, ma hanno creato un legame valoriale con il proprio pubblico facendosi portavoce di cambiamenti sociali. Il target di riferimento, infatti, non cercava solo qualità, ma voleva sentirsi parte di una comunità con ideali condivisi.

Il declino del brand activism

Con il cambiamento dello scenario politico post-pandemico, il panorama è mutato. Secondo un sondaggio recente, solo il 20% degli americani ritiene oggi che i brand debbano prendere posizione su questioni politiche. Questo riflette il fenomeno noto come activism fatigue, ossia la crescente stanchezza dei consumatori nei confronti dei messaggi etici veicolati dalle aziende. Un concetto supportato da molteplici ricerche accademiche.

 

Uno studio pubblicato sul Journal of Consumer Studies ha rivelato che i consumatori sono diventati più scettici verso i brand che si impegnano nell’attivismo, specialmente quando percepiscono che tali iniziative sono strumentalizzate o performative. Un’altra ricerca pubblicata da Springer evidenzia come l’attivismo deve essere genuino per risultare credibile. I consumatori di oggi, infatti, esigono coerenza tra le dichiarazioni e le azioni dei brand.

 

Brand in crisi dopo il binomio marketing e attivismo

Come risultato, numerosi brand che hanno continuato a percorrere la strada dell’attivismo hanno incontrato reazioni negative e persino boicottaggi. Un esempio emblematico è quello di Bud Light che ha perso 400 milioni di dollari a seguito di una controversa collaborazione con l’influencer transgender Dylan Mulvaney. Anche marchi come Zara e Pepsi hanno visto fallire le loro campagne attiviste a causa della polarizzazione delle questioni trattate. In particolare, la campagna Pepsi legata al movimento Black Lives Matter è stata criticata per aver banalizzato un movimento di protesta serio, con conseguente contraccolpo mediatico.

 

Il calo di fiducia nei confronti del brand activism non è quindi una sorpresa. Con la fine dell’era Trump si è assistito a un progressivo distacco delle aziende dalle tematiche sociali e politiche. Questo cambiamento è stato evidente durante il Super Bowl 2023, che ha visto una significativa riduzione delle pubblicità a tema attivista, un netto contrasto rispetto agli anni precedenti.

 

Questi episodi dimostrano che, in un contesto di polarizzazione politica crescente, unire marketing e attivismo comporta responsabilità significative e di conseguenza rischi. Molti brand stanno quindi facendo marcia indietro optando per messaggi più neutri e meno divisivi.

 

Il ritorno a un marketing più tradizionale

Alla base del ritorno ad un marketing tradizionale, incentrato sul prodotto, ci sono diversi motivi. Da un lato, come abbiamo visto, i consumatori sono meno propensi ad accettare l’intromissione delle aziende nelle questioni politiche. Dall’altro, le aziende stesse si trovano a dover affrontare rischi maggiori. L’International Journal of Consumer Studies evidenzia infatti come l’eccessiva enfasi sull’attivismo senza una strategia solida possa essere un’arma a doppio taglio per i brand: quando i consumatori percepiscono che il messaggio non è autentico o è incoerente, contribuiscono loro stessi al declino del brand.

 

Inoltre, come riportato da Business News Australia, la crescente competizione e la saturazione del mercato di messaggi etici hanno reso l’attivismo meno efficace come strategia di marketing. Con l’aumento del costo della vita, e quindi anche una maggiore attenzione ai prezzi, l’etica da sola non basta più a giustificare una scelta di acquisto. I consumatori oggi vogliono autenticità, ma desiderano anche prodotti di qualità a prezzi competitivi.

 

Questo non significa che il brand activism stia scomparendo del tutto, ma piuttosto che i brand stanno adottando un approccio più cauto e meno esplicito per evitare boicottaggi e reazioni negative. Come infatti sottolineato dallo studio condotto da Brandingmag, molte aziende stanno ora cercando di trovare un equilibrio tra sostenere cause sociali e rimanere autentiche agli occhi dei consumatori.

 

L’importanza della coerenza e dell’autenticità nel brand activism

Le ricerche più recenti sottolineano che marketing e attivismo devono essere autentici e allineati con i valori aziendali a lungo termine. Il pubblico percepisce sempre più chiaramente quando un’iniziativa è dettata dal calcolo strategico piuttosto che da un vero impegno sociale. Sono stati molti, infatti, i brand ad essere stati accusati di performative activism, ovvero di abbracciare cause solo per apparire inclusivi e progressisti, senza compiere azioni concrete per sostenere tali battaglie.

 

I brand, quindi, devono scegliere cause sociali che riflettano autenticamente i loro valori. Come si evince da una ricerca pubblicata su ScienceDirect, i consumatori apprezzano i marchi che prendono posizione in modo coerente e credibile, ma respingono quelli che cambiano direzione a seconda delle tendenze del momento.

 

In tal senso, un esempio positivo è Patagonia, che, invece di adottare un approccio di attivismo occasionale, ha costruito un’identità aziendale basata su valori concreti e impegni verificabili, con un costante impegno per l’ambiente.

 

Marketing e attivismo: qual è il futuro del brand activism?

​​Il futuro del brand activism dipenderà dalla capacità delle aziende di costruire relazioni autentiche con i loro consumatori. Secondo uno studio pubblicato da Springer, i brand che riusciranno a combinare attivismo e autenticità prospereranno, mentre quelli che lo useranno in modo opportunistico rischieranno l’oblio. D’altra parte, una ricerca pubblicata su Wiley sostiene che le chiavi del successo per il futuro del brand activism saranno coerenza e trasparenza. I consumatori sosterranno i brand attivisti solo se questi dimostreranno un impegno genuino.

 

La crisi del brand activism quindi non è altro che il riflesso di una crescente disconnessione tra i valori percepiti delle aziende e quelli dei consumatori.

 

Così i marchi che un tempo contavano di puntare a creare un legame emotivo con i consumatori attraverso cause sociali oggi devono affrontare un contesto diverso. Se brand come Nike e Patagonia sono riusciti a mantenere credibilità grazie alla loro coerenza, molti altri hanno invece perso terreno a causa della percezione, da parte del pubblico, di ipocrisia e opportunismo.

 

Per questo motivo è di vitale importanza che i brand si orientino, con il supporto di partner di fiducia, verso modelli di comunicazione in grado di bilanciare marketing e attivismo in modo sostenibile, autentico ed efficace ed allinearsi con le aspettative del pubblico.

 

Photo Credits: Nike